Un poco ubriachi cantano, alla mattina presto,
coi fazzoletti rossi stretti intorno alla gola,
poi comandano rauchi quattro litri di vino
e caffè per le ragazze, che ormai tacciono piangendo.
Venite, treni, caricate questi giovani che cantano
coi loro blusoni inglesi e le magliette bianche.
Venite, treni, portate lontano la gioventù
a cercare per il mondo ciò che qui è perduto.
Portate, treni, per il mondo, a non ridere mai più,
questi allegri ragazzi scacciati dal paese. (Pier Paolo Pasolini, 1954)
“Ciò che qui è perduto” è ormai la società italiana, quella che oggi consente alla polizia di entrare nelle università a caricare gli studenti e le studentesse in corteo. Ma la meglio gioventù pasoliniana oggi, a La Sapienza, non va a prendere treni per fuggire via. La meglio gioventù grida a voce alta che dalle università, dalle proprie case del sapere, non ha alcuna intenzione di andarsene. Le cariche della polizia hanno dato il via alla prima vera opposizione sociale al governo Meloni, al sistema economico neoliberista e al partito unico della guerra. A La Sapienza gli studenti e le studentesse sono l’avanguardia della società italiana e, dopo due anni di distanziamento fisico, ritornano finalmente ad essere soggetti politici attivi nella rivendicazione di spazi pubblici che sono stati ulteriormente limitati in seguito allo scoppio della pandemia e alle conseguenti misure restrittive.
Storicamente le manifestazioni esprimono la rivendicazione collettiva di una moltitudine di individui che non ha altra possibilità che scendere in piazza poiché non si sente rappresentata da alcun attore politico. Così gli studenti e le studentesse in quanto giovani, precar*, disoccupat* non hanno ormai da tempo alcuna rappresentazione istituzionale. La premier Meloni sostiene che in democrazia «non si debba manifestare contro qualcuno per impedirgli di esprimersi» tuttavia dimentica i suoi sindaci di partito hanno più volte negato le celebrazioni del 25 aprile in giro per l’Italia. E tuttavia dimentica che le contestazioni sono esse stesse parte integrante della vita democratica: la salute di una democrazia la si determina dal dissenso sollevato dalle piazze e non dal dissenso di plastica espresso nei parlamenti, diventati ormai semplici luoghi di legittimazione di potere politico.
«Il governo Meloni, in continuità con il governo Draghi, sta già inasprendo i livelli di repressione delle proteste, una tattica che conosciamo bene: colpire il dissenso per continuare, senza una vera opposizione nel paese, a produrre politiche guerrafondaie, anti-popolari e che condannano sempre di più la nostra generazione a un futuro di precarietà.
Questo Parlamento e questo Governo non ci rappresentano, come non ci rappresenta il governo del nostro ateneo. La violenza sugli studenti universitari romani ci ricorda le manganellate sugli studenti delle scuole superiori che protestavano contro l’alternanza scuola-lavoro, dopo gli omicidi di tre loro coetanei, morti di scuola e di profitto.
Dalla Sapienza si alza quindi un grido di rabbia contro l’ipocrisia dell’intera classe politica. A partire dalle dimissioni della Rettrice e dalla pretesa di non vedere mai più forze dell’ordine nelle università, rialziamo la testa perché è tempo di cambiare rotta in questo paese!» scrive Cambiare Rotta nel suo comunicato.
Evviva la meglio gioventù!
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